Per una volta facciamo a meno di slogan e titoli ad effetto con numeri e dati che altro non fanno se non lasciare a bocca aperta addetti ai lavori e non.
La crisi dell’editoria cartacea può anche essere sviscerata in termini sociali. Perché se è vero che nelle mani degli italiani passano sempre meno libri – e gli ultimi dati Istat confermano questa tendenza – c’è da chiedersi … perché? Ancor prima della nascita delle nuove tecnologie, la spiegazione di questo fenomeno in continua espansione è da ricercare nel tessuto sociale: status, zona di residenza, titolo di studio, professione, tutti elementi che concorrono a “forgiare” o meno un buon lettore.
Tesi avvalorate da dati concreti: secondo l’Istat legge il 72% dei ragazzi tra 6 e 14 anni, figli di lettori, mentre la percentuale cala al 39% se i genitori non leggono. Anche il titolo di studio influisce fortemente sui livelli di lettura, specialmente a parità di età: si va da un massimo dell’81,1% tra i laureati a un minimo del 27,9% tra chi ha la licenza elementare o nessun titolo di studio. Rispetto al 2010 la quota di lettori tra le persone in possesso di un diploma di scuola secondaria inferiore o superiore è diminuita di circa 2 punti percentuali. Con riferimento alle persone di 15 anni e più, se si tiene conto della condizione professionale, si evidenziano livelli di lettura superiori alla media tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (69%), direttivi, quadri e impiegati (66,3%) e studenti (65,3%). I più bassi livelli di lettura si registrano tra gli operai (32%), i ritirati dal lavoro (33,6%) e le casalinghe (34,4%). Il risultato, a fronte di questa suddivisione, è che nel 2011 solo il 45% della popolazione ha letto almeno un libro, l’1,5% in meno rispetto al 2010.
Come detto anche le differenze territoriali incidono parecchio: al Centro-Nord, ad esempio, si legge di più, con una percentuale di lettori superiore al 48% della popolazione, mentre al Sud e nelle Isole si scende sotto il 35%. Un’eccezione tra le regioni del Mezzogiorno è la Sardegna, dove la quota dei lettori è superiore alla media nazionale (46,7%).
Una differenziazione geografica che si ripropone anche nel settore della produzione di libri: due su tre sono pubblicati e stampati a Milano, Roma o Torino. Lombardia, Lazio e Piemonte sono infatti, rispettivamente, la prima, la seconda e la terza regione per produzione di titoli e tirature. Bene anche l’Emilia-Romagna e la Toscana. Mentre si registra una forte contrazione in Puglia, Calabria e Sardegna.
Gli ultimi dati Istat, poi, confermano il saldo negativo per gli editori e la loro progressiva propensione al risparmio. Nel 2010 si contano 2.700 case editrici, ma rispetto all’anno precedente il numero dei nuovi editori è inferiore al numero di quelli che hanno cessato l’attività. Bene invece la produzione libraria complessiva. Il 2010 segna un incremento passando da 57.558 opere pubblicate nel 2009 a 63.800, un aumento del 10,8%. Leggermente in crescita anche le tirature: un aumento del 2,5%, da 208 a 213 milioni di copie.
Ma le case editrici puntano ormai a incrementare i servizi offerti, per rispondere meglio alle esigenze dei nuovi lettori: ecco allora che assistiamo ad un aumento dei titoli del 6,8% e a una diminuzione delle tirature medie del 23,6%. Ampia preferenza poi per il lowcost: le edizioni il cui costo è inferiore ai dieci euro sono, sia per titoli (26,2%) che per tirature (40%), le pubblicazioni più consistenti. Complessivamente però il valore della produzione libraria è in calo. Nel 2010 è quantificabile in poco più di 4.052 milioni di euro: il 9,3% in meno rispetto all’anno precedente e il 16,4% rispetto al 2005.
E poi, lo avevamo anticipato, ci sono le nuove tecnologie, che si prendono la rivincita. Più di un milione e 900 mila persone tra 16 e 74 anni, il 27,8% delle persone che effettuano acquisti online, ha comprato, nel 2011, libri, giornali, riviste o ebook su internet. Di questi, oltre la metà (53,9%) sono giovani tra 16 e 24 anni.